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👉 Deep-sea mining: un limite da non superare
Cosa dice il governo, cosa pensano i cittadini, e cosa chiede la scienza
Il dibattito sull’estrazione mineraria dai fondali oceanici (deep-sea mining) sta entrando in una fase cruciale. Con la conclusione prevista per il 2025 del “Mining Code” da parte dell’International Seabed Authority (ISA), i governi di tutto il mondo si trovano a decidere se aprire una delle ultime frontiere del pianeta allo sfruttamento industriale o se adottare un principio di cautela.
In questo scenario, la posizione dell’Italia appare ambigua. Da un lato, il governo ribadisce la necessità di un quadro normativo forte e del rispetto del principio di precauzione. Dall’altro, esponenti di rilievo dell’esecutivo, come Giorgetti e Musumeci, hanno espresso interesse strategico per lo sviluppo di tecnologie legate al deep-sea mining.
Secondo Greenpeace e altre organizzazioni ambientaliste, questa ambivalenza rischia di tradursi in un sostegno di fatto all’apertura delle attività estrattive, senza un chiaro mandato democratico né un adeguato dibattito pubblico.
L’opinione pubblica è più netta
Un sondaggio condotto da WWF e Ipsos nel luglio 2024 mostra che il 60% degli italiani si dichiara contrario all’estrazione mineraria in acque profonde e favorevole a una moratoria. Solo il 6% è pienamente favorevole, mentre quasi un terzo degli intervistati cambierebbe opinione solo in presenza di garanzie ambientali solide. Dopo una spiegazione del tema, la percentuale di opposizione cresce ancora.
Il messaggio è chiaro: la maggior parte dei cittadini italiani non considera accettabile aprire gli abissi all’industria, specie in assenza di un quadro normativo completo e di una reale comprensione scientifica degli impatti.
L’ISA accelera, le ONG chiedono di fermarsi
Nel frattempo, l’ISA mira a concludere il regolamento internazionale entro la fine del 2025. Alcune imprese e Paesi stanno spingendo per anticipare le prime licenze commerciali, nonostante l’assenza di regole vincolanti e strumenti efficaci di monitoraggio ambientale.
Greenpeace, la Deep Sea Conservation Coalition e altre reti ambientaliste chiedono una moratoria immediata fino all’adozione di un quadro giuridico e scientifico solido. Autorizzare estrazioni prima di allora, affermano, significherebbe cedere agli interessi industriali e compromettere la tutela di ecosistemi ancora in gran parte sconosciuti.
L’urgenza di una scelta politica chiara
A oggi, l’Italia non ha ancora aderito formalmente alla richiesta di moratoria, sostenuta da oltre 30 Paesi tra cui Francia, Spagna, Germania, Irlanda e Svezia. Si trova quindi in una posizione intermedia: prudente ma non risoluta.
In un momento storico in cui la transizione ecologica richiede coerenza e visione, continuare a mantenere una linea attendista rischia di legittimare, per omissione, l’espansione di un nuovo fronte estrattivo planetario.
Alla luce della posizione della cittadinanza, delle evidenze scientifiche e del principio di precauzione, è tempo che l’Italia faccia una scelta chiara: schierarsi per la protezione degli oceani profondi e per una transizione davvero giusta e sostenibile.
