Chi sono

Mi chiamo Giuseppe (Pino) Civitarese. Dopo 37 anni di lavoro nel campo dell’oceanografia, affiliato prima al CNR, poi all’OGS, mi trovo oggi in pensione. È stata una carriera normale, senza clamori: un livello medio di ricerca, un po’ di pubblicazioni, una piccola scoperta interessante. Ma negli ultimi anni, forse proprio grazie a quella distanza che il tempo concede, ho maturato una consapevolezza amara: la palese irrilevanza della scienza di fronte all’emergenza ambientale.

Per anni ho pensato che “fare bene il mio lavoro” fosse sufficiente. Non lo è stato.

L’idea di neutralità della scienza, ancora tanto radicata anche presso molti dei miei colleghi, oggi suona come comoda deresponsabilizzazione. Ho visto colleghi continuare a parlare di “gestione sostenibile” mentre il sistema globale mostrava chiaramente la sua insostenibilità strutturale. E ho visto entusiasmi per soluzioni tecnologiche che non fanno altro che distogliere l’attenzione dal nodo fondamentale: le cause sistemiche della crisi, legate a un modello economico predatorio e a un’ideologia della crescita illimitata.

Questa nuova consapevolezza mi ha portato a sviluppare una sensibilità etica e politica che in passato mi era mancata.

Oggi credo che il compito della scienza — specie quella ambientale — non possa più limitarsi a descrivere il collasso o a migliorare la qualità delle sue previsioni. Deve prendere posizione, smascherare le contraddizioni, contribuire a costruire un immaginario diverso.

Ho vissuto questa presa di coscienza con un misto di lucidità e rimpianto. Forse avrei potuto cominciare prima a vedere le cose in questi termini. Ma non è mai troppo tardi per contribuire a una riflessione collettiva che manca ancora di forza e di coraggio.

È per questo che è nato BREAKING POINTS: per offrire uno spazio di pensiero critico, capace di interrogare non solo gli effetti della crisi, ma soprattutto le sue cause profonde e le scelte politiche e culturali che oggi non possiamo più eludere.


Nota metodologica

Come uso l’intelligenza artificiale in questo blog

In questo blog, l’intelligenza artificiale (nello specifico: ChatGPT, in versione avanzata) è uno strumento di lavoro. Non è un autore, non è un sostituto, non è un filtro ideologico.

La uso in tre modi principali:

  1. Organizzazione e sviluppo dei contenuti
    Idee, tesi, appunti sparsi vengono trasformati in testi strutturati attraverso un processo di dialogo e raffinamento. L’AI mi aiuta a mettere ordine, a trovare connessioni, a testare contro-argomentazioni. Ma le scelte finali — tematiche, stilistiche, politiche — sono sempre mie.
  2. Scrittura collaborativa
    Alcuni testi nascono da un intreccio di linguaggi: il mio, più personale, e quello generato su mia indicazione dall’AI. Intervengo continuamente sul materiale prodotto, modifico, correggo, arricchisco. Nessun testo viene pubblicato senza un’attenta revisione umana e critica.
  3. Produzione grafica e immagini editoriali
    Utilizzo modelli generativi per creare immagini illustrative che accompagnano gli articoli. Le immagini sono progettate con cura per evocare concetti, emozioni, tensioni sociali. Anche in questo caso, l’AI è uno strumento espressivo al mio servizio.

Una scelta consapevole

Non credo in una scienza neutrale, né in una tecnologia neutrale. Credo, piuttosto, che gli strumenti vadano politicizzati, messi alla prova, decostruiti, e usati — se possibile — per finalità emancipative.

L’intelligenza artificiale, come ogni mezzo potente, può rafforzare le disuguaglianze oppure combatterle. Può standardizzare il pensiero o moltiplicare le voci critiche. Dipende da chi la usa, come e perché.

Io scelgo di usarla per scardinare il linguaggio tossico del greenwashing, dell’estrattivismo, dell’adattamento rassegnato. Per provare a costruire un’alternativa comunicativa, etica e politica. Per immaginare altri mondi possibili — più giusti, più vivibili, più liberi.