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Blue Acceleration: la nuova corsa al mare tra geopolitica, tecnologia e sfruttamento.

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1. Un nuovo capitolo della colonizzazione planetaria

In questo secolo, l’oceano sta subendo una trasformazione silenziosa ma profonda. È ormai evidente che lo sfruttamento delle risorse marine non è più una semplice questione settoriale — legata alla pesca o alla navigazione — ma il cuore pulsante di una nuova fase della modernità capitalista: quella della Blue Acceleration, o Accelerazione Blu.

Il termine, coniato da Jouffray et al. (2020), designa la rapida e simultanea intensificazione di rivendicazioni economiche, tecnologiche, industriali e normative sullo spazio oceanico. A differenza di fasi precedenti, questa corsa al mare è caratterizzata da una profonda integrazione tra ambiti eterogenei: energia, genetica, comunicazioni, finanza, difesa, turismo e digitalizzazione.
La posta in gioco non è solo ambientale, ma geopolitica, sociale e culturale. La Blue Acceleration non è una semplice transizione, ma una trasformazione sistemica dell’oceano in infrastruttura economica globale.


2. Un mare conteso: cibo, materiali, spazio

Jouffray et al. classificano le rivendicazioni in tre assi principali:

2.1. Cibo

La pesca industriale e l’acquacoltura intensiva hanno conosciuto una crescita senza precedenti. Oggi, il pesce è la merce alimentare più scambiata al mondo. Ma la pressione sugli stock naturali è tale che la FAO stima che il 34% delle riserve ittiche globali sia già sovrasfruttato. L’acquacoltura, presentata come soluzione sostenibile, spesso comporta inquinamento, diffusione di malattie, uso intensivo di mangimi marini, e conflitti con la pesca artigianale ( FAO – State of World Fisheries 2024).

2.2. Materiali

L’oceano è visto come una miniera. Idrocarburi offshore, sabbie marine, metalli rari (noduli polimetallici, solfuri massicci, croste di ferromanganese), biomasse geneticamente brevettabili: la corsa è aperta. La International Seabed Authority ha già concesso oltre 1,3 milioni di km² in licenze esplorative per l’estrazione mineraria in acque internazionali.
E non è tutto. L’interesse per organismi estremofili ha portato a una nuova fase della bioprospezione genetica, dove il DNA marino viene brevettato per uso farmaceutico, cosmetico o nutraceutico. Si configura una nuova frontiera di privatizzazione della biodiversità.

2.3. Spazio

L’oceano diventa anche spazio logistico e infrastrutturale. Si moltiplicano porti, cavi sottomarini, turbine eoliche, data center offshore, impianti di desalinizzazione, resort turistici, piattaforme militari. Il mare viene letteralmente “grigliato” da rivendicazioni sovrapposte, che riducono lo spazio biologico e culturale per le comunità costiere, i pescatori, gli ecosistemi.
Il tutto avviene all’interno di una frammentazione giuridica: mentre le zone economiche esclusive (ZEE) sono regolate da UNCLOS, gran parte dell’oceano rimane fuori dalla giurisdizione statale diretta, governata da un mosaico di trattati settoriali inadeguati.


3. Il Mediterraneo come laboratorio della Blue Acceleration

Il Mediterraneo è un hotspot climatico e geopolitico, e si sta rivelando anche uno dei principali laboratori della Blue Acceleration. Mare chiuso, denso di traffico, urbanizzato e sovrasfruttato, è teatro di trasformazioni profonde:

Eolico offshore

Progetti galleggianti come Kailia Energia al largo della Puglia o Odra Energia in Adriatico centrale mostrano il nuovo volto della transizione energetica. Ma dietro la retorica verde si celano confitti con la pesca, con la biodiversità e con la democrazia territoriale.

Acquacoltura intensiva

Lungo le coste italiane, croate, albanesi e greche, si assiste a una rapida estensione degli impianti marini. Questi impianti, spesso in aree costiere vulnerabili, modificano gli equilibri ecologici e marginalizzano i pescatori tradizionali.

Logistica e portualità

I porti di Trieste, Venezia, Ravenna, Ancona, Bari e Brindisi sono al centro di piani di espansione legati al corridoio adriatico-baltico e ai fondi PNRR. Il Mediterraneo si configura sempre più come snodo geoeconomico strategico, con conseguenze ambientali enormi.

Piattaforme e trivellazioni

Nonostante la retorica della decarbonizzazione, l’Adriatico ospita ancora decine di piattaforme per gas e petrolio, soprattutto nel tratto settentrionale. Alcune sono in fase di dismissione, ma molte continuano a operare.

Pianificazione marittima

Il Piano italiano di gestione dello spazio marittimo (2024) adotta il paradigma dell’ottimizzazione razionale degli usi, ma non mette in discussione la logica espansiva delle rivendicazioni industriali. È un piano per convivere, non per ridurre o invertire la pressione.


4. Governance debole, rischi sistemici

L’articolo di Jouffray mostra con chiarezza come il governo degli oceani sia inadeguato, lento, sbilanciato. Il diritto del mare, codificato nella Convenzione UNCLOS, non riesce a tenere il passo con la complessità delle nuove rivendicazioni: dalle trivellazioni profonde alla geoingegneria, dalla genetica marina alle infrastrutture sottomarine.

Uno dei rischi maggiori è la saturazione degli spazi marini, con conseguente aumento di conflitti tra usi (pesca vs. eolico; turismo vs. infrastrutture; biodiversità vs. acquacoltura), crolli ecologici e shock sistemici. Alcuni scenari evocati nello studio (come quello della chiocciola “scaly-foot snail” minacciata dall’estrazione mineraria prima ancora di essere studiata) mostrano come lo sfruttamento stia superando l’esplorazione e la conoscenza.

La “scaly-foot snail” è la lumaca dal piede squamoso (nome scientifico Chrysomallon squamiferum), una lumaca di mare che vive vicino alle sorgenti idrotermali nell’Oceano Indiano. È famosa per la sua armatura unica, composta da un guscio e da scaglie ai piedi che contengono nanoparticelle di solfuro di ferro, rendendola incredibilmente resistente alle alte temperature e pressioni del suo habitat. 

5. Retoriche ambigue: Blue Growth, Blue Economy, Blue Capitalism

Uno degli aspetti più insidiosi della Blue Acceleration è la sua retorica sostenibilista. La Blue Growth promossa dalla Commissione Europea, o la Blue Economy delle Nazioni Unite, parlano di conciliare sviluppo e conservazione. Ma nel concreto, queste strategie servono a legittimare nuovi cicli di accumulazione, basati su tecnologie ad alta intensità di capitale, controllo spaziale e appropriazione della natura (Barbesgaard, 2018; Voyer et al., 2018).


6. Alternative: de-accelerare, riconoscere, ricostruire

Contro la Blue Acceleration, è necessario immaginare e praticare una decelerazione blu. Significa:

  • Fermare le nuove concessioni estrattive, in linea con il principio di precauzione;
  • Rafforzare le aree marine protette reali, con controlli, vincoli e partecipazione pubblica;
  • Restituire potere alle comunità costiere, riconoscendo i loro saperi, le loro economie, i loro diritti;
  • Smettere di concepire il mare come un serbatoio economico, e iniziare a vederlo come una relazione vivente e interdipendente.

Non esistono soluzioni tecnocratiche alla crisi dell’oceano. Serve un cambiamento di paradigma. Serve cura, responsabilità, interdipendenza.



Questo testo e/o contenuto grafico è stato elaborato con il supporto di strumenti di intelligenza artificiale, integrati in un processo critico e curato di scrittura collaborativa. Scopri di più nella nota metodologica .



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