BREAKING POINTS


Scienza ambientale e impotenza etica: una riflessione di fine carriera

Dopo 37 anni di lavoro nel campo dell’oceanografia, mi trovo oggi in pensione. È stata una carriera normale, senza clamori: un livello medio di ricerca, un po’ di pubblicazioni, una piccola scoperta interessante. Ma negli ultimi anni, forse proprio grazie a quella distanza che il tempo concede, ho maturato una consapevolezza amara: la palese irrilevanza della scienza di fronte all’emergenza ambientale.

Abbiamo prodotto dati, modelli, osservazioni sempre più sofisticate. Abbiamo affinato la comprensione dei processi naturali e dei loro sconvolgimenti. Eppure, mentre il riscaldamento globale avanza, gli ecosistemi collassano, le disuguaglianze sociali si aggravano, la scienza resta in gran parte spettatrice impotente.
Non è un problema solo di ascolto da parte della politica. È anche un limite interno alla cultura scientifica stessa, troppo spesso rifugiata in un’idea di neutralità che oggi suona come comoda deresponsabilizzazione. Ho visto colleghi continuare a parlare di “gestione sostenibile” mentre il sistema globale mostrava chiaramente la sua insostenibilità strutturale. Ho visto entusiasmi per soluzioni tecnologiche che non fanno altro che distogliere l’attenzione dal nodo fondamentale: le cause sistemiche della crisi, legate a un modello economico predatorio e a un’ideologia della crescita illimitata.
Questa consapevolezza mi ha portato a sviluppare una sensibilità etica e politica che in passato mi era mancata. Per anni ho pensato che “fare bene il mio lavoro” fosse sufficiente. Non lo è stato. Oggi credo che il compito della scienza — specie quella ambientale — non possa più limitarsi a descrivere il collasso o a migliorare la qualità delle sue previsioni. Deve prendere posizione, smascherare le contraddizioni, contribuire a costruire un immaginario diverso.
Perché non si tratta solo di proteggere “la natura” o “gli ecosistemi”, ma di riconoscere che siamo di fronte a una crisi della civiltà industriale, che richiede un ripensamento radicale dei nostri modi di produrre, consumare, vivere insieme.
Ho vissuto questa presa di coscienza con un misto di lucidità e rimpianto. Forse avrei potuto cominciare prima a vedere le cose in questi termini. Ma non è mai troppo tardi per contribuire a una riflessione collettiva che manca ancora di forza e di coraggio.
È per questo che è nato BREAKING POINTS: per offrire uno spazio di pensiero critico, capace di interrogare non solo gli effetti della crisi, ma soprattutto le sue cause profonde e le scelte politiche e culturali che oggi non possiamo più eludere.
Non serve più solo “più conoscenza”. Serve conoscenza che agisca, che interroghi, che osi immaginare un altro mondo. E che si assuma finalmente la responsabilità di dire quello che le evidenze scientifiche, troppo spesso, da sole non dicono.
Se anche voi sentite che siamo arrivati a un punto di rottura, vi invito a seguire BREAKING POINTS e a contribuire alla discussione.

Questo testo e/o contenuto grafico è stato elaborato con il supporto di strumenti di intelligenza artificiale, integrati in un processo critico e curato di scrittura collaborativa. Scopri di più nella nota metodologica .



Una replica a “Scienza ambientale e impotenza etica: una riflessione di fine carriera”

  1. Avatar Karoline Civitarese
    Karoline Civitarese

    Sono pienamente d’accordo, spero che ti ascoltino, io personalmente sono molto pessimista su questo argomento perché ho poca fiducia nell’essere umano, ma spero davvero che anche solo aprire un blog di dibattito possa in qualsiasi modo scuotere animi e masse.

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